di Arianna Gioffredo
La disinformazione è un fenomeno radicato nella storia, ma con l’avvento delle tecnologie digitali ha assunto una portata senza precedenti, influenzando il modo in cui percepiamo la realtà. Il concetto di fake news è ormai parte integrante del dibattito pubblico, e la capacità di distinguere tra verità e falsità si fa sempre più complessa, soprattutto quando queste distorsioni vengono inserite nei discorsi mediatici e politici. Se in passato le persone si affidavano a fonti di informazione consolidate, oggi i canali di comunicazione sono molteplici e non sempre oggettivi, rendendo indispensabile lo sviluppo di un forte senso critico per difendersi dalle notizie manipolate. Tra i temi più frequentemente distorti dalla disinformazione troviamo quello delle migrazioni, che occupa un posto centrale nei dibattiti politici sia in Italia che all’estero.
I flussi migratori
Nel discorso mediatico, il fenomeno migratorio è spesso ridotto alla narrazione degli sbarchi. Questo approccio però offre una visione parziale e distorta della migrazione, poiché limita la comprensione di un fenomeno molto più complesso e articolato. La mobilità umana è una realtà costante nella storia del mondo. Secondo il World Migration Report 2022 dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), ci sono 281 milioni di persone che vivono e lavorano al di fuori del loro paese d’origine. A queste si aggiungono 117 milioni di individui costretti a migrare a causa di conflitti, persecuzioni o catastrofi naturali (dato aggiornato al 2022). Come evidenzia l’OIM, il numero di migranti internazionali è in continuo aumento: dai 174 milioni del 2000 (primo anno di rilevamento) si è passati a 249 milioni nel 2015, fino a raggiungere i 281 milioni attuali, che rappresentano circa il 4% della popolazione mondiale.
Se consideriamo i flussi migratori in entrata e in uscita dall’Italia, notiamo che il numero medio tende a essere molto equilibrato. Attualmente, infatti, circa 5 milioni di italiani risiedono all’estero, mentre circa 5 milioni di stranieri vivono in Italia, un dato che si mantiene piuttosto stabile (ISTAT, 2022).
Tra le persone migranti, molte sono costrette a lasciare le proprie case in modo forzato. Si tratta di rifugiati e sfollati, tra cui vi è una maggiore percentuale di donne e bambini. Questi gruppi spesso si spostano verso Paesi limitrofi, dove tuttavia le condizioni possono essere altrettanto pericolose o caratterizzate da elevata povertà. L’Italia attualmente ospita circa 600.000 rifugiati.
Un dato rilevante da tenere in considerazione quando si parla di migrazioni è il tema delle vittime di tratta e del traffico di persone. Il traffico di persone è il fenomeno tale per cui ci si affida ai cosiddetti ‘trafficanti di esseri umani’, ossia criminali che si occupano di spostare persone fra due Paesi. Le persone invece vittime di tratta sono coloro che, una volta arrivate a destinazione, sono costrette a prostituirsi o a lavorare in condizione di schiavitù; possono essere sfruttate sia nel Paese di arrivo sia durante il tragitto stesso.
Insieme al traffico di armi e di droghe, si tratta di uno dei business illegali più redditizi al mondo: l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha calcolato che il lavoro forzato produce circa 150 miliardi di dollari all’anno. Questa somma comprende diverse forme di sfruttamento, tra cui la prostituzione forzata, il lavoro forzato nell’agricoltura, nelle costruzioni e nel lavoro domestico (Harvard International Law Journal).
La narrazione delle migrazioni: l’importanza del linguaggio
Perché le parole sono importanti? Perché creano realtà: il modo in cui esprimiamo concetti non è mai neutro. Le parole non solo descrivono la realtà, ma la modellano, presentandola come inevitabile e attribuendo una forza normativa a ciò che descrivono. Questo processo influisce profondamente sulla percezione di fenomeni come le migrazioni.
Nel linguaggio giuridico, i termini hanno significati precisi, ma spesso questi si perdono nel discorso pubblico, dove le parole vengono distorte. Un esempio emblematico è il termine “extracomunitario”, che in ambito legale indica chi non appartiene all’Unione Europea in modo neutro, mentre nel linguaggio comune e mediatico ha acquisito una connotazione negativa.
Se focalizziamo l’attenzione sul tema del razzismo e sulla comunicazione utilizzata per affrontarlo, la terminologia spesso riproduce pregiudizi e stereotipi. Quando si parla di razzismo, si fa riferimento a un sistema di potere che non rappresenta un problema esclusivamente individuale per le persone razzializzate, ma colpisce l’intera società. Per smantellare questi sistemi discriminatori, è fondamentale adottare un approccio critico e consapevole, in grado di costruire una narrazione alternativa ed efficace, fondata su dati concreti e concetti oggettivi.
I soggetti razzializzati sono spesso percepiti e trattati in base a categorie etniche, influenzate da stereotipi e pregiudizi. Raccontare le loro esperienze senza pregiudizi e stereotipi può modificare significativamente la percezione sociale. Tuttavia, articoli giornalistici e media spesso utilizzano un linguaggio aggressivo e discriminatorio, replicando così le violenze subìte. Inoltre, si osserva una distinzione tra migranti in base alla loro provenienza, creando una gerarchia che distingue tra “migranti di prima classe” e “migranti di seconda classe”. Un esempio emblematico è la narrativa che coinvolge i migranti ucraini.
Un altro concetto importante è quello della pornografia del dolore, che si riferisce a un modo di rappresentare la sofferenza e le esperienze traumatiche dei migranti, mettendo in risalto la loro miseria per attrarre attenzione o suscitare emozioni forti, senza considerare le complessità delle loro vite. Heather Merril, professoressa di Studi Africani al Hamilton College, negli Stati Uniti, nel suo studio antropologico Black Spaces: African Diaspora in Italy, sottolinea che l’immagine prevalente trasmessa è quella di corpi “poveri, sofferenti e pigri”. Le campagne di fundraising, ad esempio, tendono a rappresentare bambini o bambine vulnerabili, suscitando compassione, ma contribuendo a un’immagine limitata e stereotipata.
Quando si parla di migrazioni, il tema degli sbarchi assume un ruolo centrale, poiché spesso rappresenta la prima interazione tra migranti e società ospitante. In questo contesto, i migranti vengono frequentemente definiti come “irregolari”, una terminologia che contribuisce a stigmatizzarli e a creare un’immagine negativa del fenomeno migratorio.
Inoltre, si osserva spesso il fenomeno dell’etnicizzazione della notizia, in cui la nazionalità del soggetto coinvolto viene enfatizzata nei titoli. Ad esempio, un articolo che riporta di un reato commesso da un migrante tende a mettere in evidenza la sua origine, sottolineando che non è italiano, ma straniero. Questo approccio, tuttavia, risulta poco utile per una comprensione adeguata della notizia stessa; infatti, serve principalmente a deviare l’attenzione dalla questione principale, ovvero il reato in sé, e a insinuare un’associazione tra criminalità e provenienza etnica.
Inoltre, se analizziamo il linguaggio utilizzato dai media per discutere di queste persone, è frequente riscontrare l’uso della “N-word” in modo violento e non censurato. Questo linguaggio non solo perpetua stereotipi negativi, ma contribuisce anche a replicare un sistema di violenza razzista che marginalizza ulteriormente le persone di origine (principalmente ma non solo) africana. L’impiego di termini così carichi di odio nei media non solo alimenta la discriminazione, ma distorce anche la narrazione sociale, trasformando individui in mere statistiche o simboli di una minaccia, invece di riconoscerli come esseri umani con storie e diritti.
Un altro tema piuttosto presente in ambito pubblico e politico è la violazione delle identità; si tratta del fenomeno tale per cui vengono pubblicati nomi e cognomi dei soggetti che hanno perpetrato o subito violenza quando stranieri. Tale violazione della privacy ha spesso conseguenze molto gravi.
Infine, quando si parla di discriminazione nei media, un elemento importante da considerare sono le fake news. Queste notizie false, spesso diffuse con l’intento di manipolare l’opinione pubblica, possono alimentare stereotipi e pregiudizi nei confronti di gruppi già vulnerabili. La diffusione di informazioni accurate, come false statistiche sulla criminalità tra i migranti o rappresentazioni distorte delle loro esperienze, non solo distorce la realtà, ma crea un clima di paura e ostilità. Un esempio recente di questo fenomeno è la notizia risalente ad agosto 2024, che riguarda un giovane diciassettenne accusato di aver commesso diversi omicidi ai danni di alcune bambine nella città di Londra. Questo evento di cronaca ha scatenato disordini in seguito alla diffusione di fake news sui social media riguardanti l’identità dell’aggressore, descritto come un “immigrato o un richiedente asilo di fede islamica”, notizia condivisa da alcuni gruppi e influencer di estrema destra. Tuttavia, l’identità del ragazzo non è stata rivelata, in quanto è minorenne. Questo episodio dimostra quanto sia facile innescare meccanismi di violenza e divisione sociale a partire da notizie inventate e diffuse tra le persone.
Una comunicazione inadeguata ha effetti profondi e dannosi sulla società, alimentando stereotipi e pregiudizi che portano a narrazioni distorte e stigmatizzanti. L’uso di termini offensivi, spesso non censurati, perpetua la violenza e nega la dignità a individui già emarginati. Tali pratiche, inoltre, rafforzano le dinamiche di potere razziste, ostacolando il progresso verso una società più equa e inclusiva. È fondamentale adottare un linguaggio rispettoso e consapevole per affrontare queste problematiche e promuovere una comunicazione costruttiva.
Nel contesto della migrazione, è essenziale considerare le molteplici identità e le questioni correlate. È cruciale approfondire temi trasversali nel dibattito pubblico, come le diaspore e le differenze tra prime e nuove generazioni, nonché le generazioni miste e le questioni di cittadinanza e rappresentanza. Questi argomenti arricchiscono la nostra comprensione della migrazione e sono fondamentali per costruire una società inclusiva e giusta.
Modificare il nostro modo di comunicare rappresenta un’opportunità per ripensare il mondo e i sistemi di oppressione che lo caratterizzano. Un approccio critico e consapevole alla comunicazione può creare spazi di dialogo e inclusione, aiutandoci a riconoscere e affrontare le ingiustizie sociali. Solo attraverso una comunicazione trasformativa possiamo sperare di costruire un futuro più equo e giusto, in cui ogni voce venga ascoltata e valorizzata.
Le migrazioni dal punto di vista giuridico in Italia
Le persone che migrano in Italia possono entrare nel Paese attraverso due canali principali: in maniera regolare, richiedendo un visto se il Paese di provenienza lo consente, oppure attraversando irregolarmente le frontiere. Nel secondo caso, una volta arrivati in Italia, è possibile fare richiesta di asilo. Esistono diverse tipologie di permessi, che variano in base alle motivazioni della migrazione e ad altre caratteristiche personali.
I principali visti concessi riguardano il lavoro, il ricongiungimento familiare e lo studio. A questi si aggiunge il permesso di soggiorno di lungo periodo, che oltre il 55% dei residenti regolari possiede. Tra le motivazioni che consentono l’ingresso legale in Italia non rientra la ricerca di lavoro. Nel corso degli anni, sono stati autorizzati ingressi attraverso i cosiddetti decreti flussi. Questi provvedimenti, emanati periodicamente dal governo italiano, regolano l’ingresso di cittadini extracomunitari per svolgere attività lavorative. Un altro strumento utilizzato in Italia è quello delle sanatorie. Questi provvedimenti straordinari permettono di regolarizzare la posizione di immigrati già presenti irregolarmente sul territorio. Ad esempio la sanatoria lanciata nel 2020, durante la pandemia di COVID-19, è servita per regolarizzare i lavoratori stranieri presenti in Italia, soprattutto nel settore agricolo e domestico.
Richiedenti asilo e status di protezione
Spesso non esistono modalità di ingresso legale per richiedere protezione internazionale. Per questo motivo, molte persone arrivano in Italia, come in altri Stati, in maniera irregolare, nella speranza di poter presentare richiesta di protezione una volta giunte sul territorio. Esistono pochissime circostanze in cui è possibile fare richiesta di protezione prima della partenza, come nel caso di visti umanitari, che vengono concessi solo in rari casi.
Quando una persona proveniente da un Paese non appartenente all’Unione Europea arriva in Italia in maniera irregolare, può richiedere protezione internazionale. Le ragioni che spingono queste persone a fare richiesta di protezione sono molteplici, ma generalmente riguardano l’impossibilità di rimanere o tornare nel proprio Paese a causa del rischio di subire gravi violazioni dei diritti fondamentali. Una volta presentata la richiesta, la procedura può concludersi con l’accoglimento o il rifiuto della domanda.
Di conseguenza, quando si parla di richiedenti asilo, ci si riferisce a tutte quelle persone arrivate in Italia da Paesi terzi in maniera irregolare che fanno richiesta di protezione internazionale.
Nel quadro normativo internazionale esistono due principali forme di protezione: lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria, entrambe comprese nella macrocategoria della protezione internazionale. In Italia, è prevista anche una forma di protezione aggiuntiva a carattere nazionale, nota come protezione speciale, inoltre, in risposta alla guerra in Ucraina, è stata introdotta una nuova forma di protezione, chiamata protezione temporanea, regolata dalla normativa europea. Questa offre protezione alle persone in fuga da conflitti e prevede una procedura distinta rispetto a quella della protezione internazionale. Per questo motivo, i richiedenti protezione temporanea si differenziano dai richiedenti asilo.
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