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Di Ilaria Scarfò

Le tematiche legate ai diritti della comunità LGBTQIA+ stanno progressivamente acquisendo sempre maggiore spazio nel dibattito pubblico. Tuttavia, la disinformazione su questi argomenti è ancora molto diffusa. Questo fenomeno alimenta pregiudizi e stereotipi, che spesso generano paura, disinteresse e un generale distacco da tali questioni.

Chi è la comunità LGBTQIA+?

Il termine, che nel tempo si è arricchito di nuove lettere per includere una maggiore diversità, può risultare di non immediata comprensione. In modo semplificato, comprende tutte le persone che non si identificano pienamente con le categorie tradizionali di genere o orientamento sessuale, ovvero coloro che si definiscono non binarie o queer.

Identità di genere e orientamento sessuale

Si tratta di due aspetti dell’identità di una persona, quegli aspetti che possono connotare l’appartenenza alla comunità LGBTQIA+.

L’identità di genere si riferisce al genere con cui una persona si identifica (spesso definito alla nascita in base al sesso biologico). Il sistema binario tradizionale prevede solo due generi: maschio e femmina. Tuttavia, le persone queer possono sentirsi al di fuori di queste categorie o rappresentare una combinazione di entrambe.

L’orientamento sessuale indica l’attrazione affettiva e sessuale di una persona. La società ha storicamente promosso l’eteronormatività, cioè l’idea che la normalità sia essere eterosessuali: gli uomini sono attratti dalle donne e viceversa. Tuttavia, molte persone si identificano come non eteronormative, ad esempio donne attratte da donne, uomini attratti da uomini, persone attratte da ambo i generi o persone asessuali, cioè non sessualmente attratte da alcun genere, e così via.

Ulteriori aspetti dell’identità

Nel panorama delle identità non binarie, un altro elemento rilevante è la possibilità di essere cisgender o transgender. Le persone cisgender si identificano con il genere loro assegnato alla nascita, le persone transgender non si riconoscono nel genere assegnato alla nascita.

A questo si aggiungono le persone agender, che non si riconoscono in alcun genere specifico, le persone bi-gender che si riconoscono in entrambi o le persone genderfluid, che oscillano tra i generi.

Inoltre, vi sono individui intersessuali, le cui caratteristiche biologiche (come cromosomi o organi genitali) non rientrano nelle tradizionali definizioni di maschile e femminile. Tutte queste identità contribuiscono a definire la complessità e la ricchezza della comunità LGBTQIA+, dove il “+” include tutta l’ulteriore  diversità che ci può ancora essere e che non è definita dall’acronimo.

Il ruolo dell’informazione e delle parole

Promuovere una maggiore conoscenza e comprensione è fondamentale per abbattere stereotipi e costruire una società più inclusiva. Giornalisti e professionisti dell’informazione e della comunicazione svolgono un ruolo cruciale nel raccontare, attraverso la cronaca, una società contemporanea sempre più complessa. Per rappresentarla adeguatamente, è necessario prestare particolare attenzione al linguaggio, al tono e alla scelta delle parole, soprattutto considerando l’impatto dei nuovi media come principale fonte di informazione per molte persone.

L’informazione contribuisce a costruire l’immaginario collettivo e le sue narrazioni. Essere consapevoli di questo potere significa offrire alla comunità nuove chiavi di lettura e di comprensione. Se le parole sono lo strumento principale dell’informazione e se l’informazione plasma la percezione di persone e fenomeni, allora la scelta del linguaggio diventa determinante per come questi vengono rappresentati, compresi e accettati.

Dove esistono minoranze che lottano per essere riconosciute, legittimate e per vedere rispettati i propri diritti, il linguaggio può svolgere un ruolo cruciale.

Il primo passo per riconoscere l’esistenza di qualcosa o di qualcuno è nominarlo, attribuendogli dignità e legittimità. Il passo successivo è evitare che l’aspetto che identifica l’appartenenza a una minoranza (sia essa etnica, religiosa, legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere) diventi un elemento penalizzante o che riduca il valore della persona in quanto tale. Questo significa non trasformare tale appartenenza in un motivo di pregiudizio.

Alimentare il pregiudizio può facilmente sfociare in disinformazione, rafforzando stereotipi e discriminazioni.

 Come prevenire la disinformazione riguardo alla comunità LGBTQIA+?

Ecco “4 paia di occhiali” che si devono indossare quando si fa informazione che coinvolge a vario titolo la comunità LGBTQIA+.

1 – Prestare attenzione anche alle parole che sembrano innocue  e non aver paura di farsi qualche domanda in più

Maria Paola Mosca, giornalista freelance e traduttrice, sostiene che ogni giornalista dovrebbe interrogarsi sul contesto generale e mantenersi aggiornato sull’evoluzione del linguaggio inclusivo. Secondo Mosca, «le parole non sono mai neutre: ogni scelta linguistica riflette un sistema di valori e può influenzare il modo in cui le persone percepiscono una determinata realtà». Oltre a evitare giudizi impliciti nelle parole, è importante utilizzare espressioni che riflettano la realtà della comunità LGBTQIA+. Ad esempio, evitare termini che descrivono l’orientamento sessuale come “una scelta” e adottare invece un linguaggio che evidenzi il rispetto per l’identità personale. Questa attenzione linguistica non è solo un atto di rispetto, ma contribuisce a creare un contesto sociale più inclusivo. L’esperta giornalista raccomanda di evitare aggettivi che possano implicare giudizi di valore, come “apertamente gay” o “preferenze sessuali”, e di chiedere sempre alla persona interessata come desideri essere identificata.

 2 – Promuovere una narrazione a più voci

La crescente rappresentazione della comunità LGBTQI+ nei media, tra cui serie TV e pubblicità, convive con narrazioni discriminatorie che associano questa comunità a minacce per i valori tradizionali.

Parallelamente, si osserva anche il fenomeno del gay washing, in cui aziende e organizzazioni adottano simboli e messaggi legati alla comunità LGBTQIA+ per migliorare la propria immagine o attirare consumatori, senza però intraprendere azioni concrete per promuoverne i diritti. Questo opportunismo si manifesta, ad esempio, quando durante il Pride Month si utilizzano loghi arcobaleno o si lanciano campagne pubblicitarie dedicate, mentre internamente mancano policy inclusive o vengono sostenuti gruppi contrari ai diritti della comunità.

Per contrastare tali retoriche, i giornalisti dovrebbero evitare polarizzazioni e raccontare anche storie positive ed inclusive, mettendo al centro sempre i fatti e non l’orientamento sessuale o l’identità di genere delle persone coinvolte, se non strettamente  necessario.

3 – Mantenere l’equilibrio tra giornalismo e attivismo

Come sottolinea Pasquale Quaranta (diversity editor, giornalista e attivista) il giornalismo non può essere completamente separato dall’attivismo. In una società sempre più frammentata, il giornalista ha il dovere di essere un promotore di dialogo e comprensione. Questo non significa rinunciare all’obiettività, ma riconoscere il peso delle proprie scelte e comprendere il contesto da cui si scrive. L’equilibrio tra narrazione e sensibilizzazione può infatti trasformare il giornalismo in uno strumento di progresso sociale.

Ogni scelta, anche linguistica, è politica. Per un giornalismo etico e responsabile, è essenziale comprendere il proprio contesto, i propri bias e il potenziale impatto delle proprie parole.

4 – Il ruolo dei media nell’evoluzione normativa

Antonio Vercellone, ricercatore dell’Università di Torino che studia e analizza i testi legislativi in garanzia dei diritti LGBTQI+, ha evidenziato come fenomeni sociali e trend legislativi siano intrecciati.

Nelle sue ricerche evidenzia che i paesi occidentali si muovono a velocità diverse verso il riconoscimento dei diritti LGBTQIA+. Dalla fine del XX secolo, la crisi del modello di famiglia tradizionale ha portato all’estensione del concetto di famiglia oltre la classica coppia eterosessuale, promuovendo il riconoscimento di unioni civili e, successivamente, del matrimonio. Tuttavia, l’Italia avanza con lentezza rispetto ad altri paesi. Anche laddove sono stati fatti passi avanti, persistono vuoti normativi, come nel caso del diritto alla genitorialità per le coppie omosessuali. A differenza di altre nazioni, l’Italia non ha accolto pienamente il concetto di “genitorialità funzionale”, promosso negli Stati Uniti, che mette al centro il prendersi cura dei figli più che i legami biologici o matrimoniali.  A questo proposito, Vercellone sottolinea l’importanza del ruolo dei media nel trasformare la percezione collettiva. Le parole e i concetti veicolati dai giornalisti possono influenzare l’opinione pubblica in maniera significativa.

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